CANTO I
Luogo: Paradiso Terrestre: Sfera del Fuoco
Premesso che la gloria di Dio penetra ovunque nell'universo, Dante afferma di essere stato nell'Empireo e di aver visto 'cose' che nessuno sa e può ridire. Segue l'invocazione ad Apollo perché il dio lo ispiri con la medesima potenza con la quale vinse Marsia: solo così il poeta potrà restituire una tenue immagine del Paradiso. Dante descrive poi la posizione del sole che, essendo primavera, nasce dal punto in cui orizzonte, equatore, eclittica e coluro equinoziale, intersecandosi, formano tre croci. Nell'emisfero australe è mattino, e nell'ora in cui il sole si trova sul meridiano del Purgatorio, ossia a mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono dal Paradiso terrestre verso il cielo; mentre il poeta fissa i propri occhi in quelli di Beatrice si sente trasmutare dalla condizione umana a quella divina, e ammette di non sapere se nel momento della salita era solo anima, oppure anima unita al corpo. Volgendo gli occhi verso il moto eterno delle sfere gli sembra di scorgere una parte del cielo accesa dalla luce del sole, così vasta che mai pioggia o fiume formarono lago tanto grande. Egli desidera conoscere le ragioni di quella luce e Beatrice gli spiega che non si trova più in terra ma che sta salendo: a tale notizia Dante si meraviglia non riuscendo a comprendere come il suo corpo pesante possa attraversare corpi leggeri quali l'aria e il fuoco. Beatrice espone allora la dottrina dell'ordine dell'universo, che prevede che tutte le cose si muovano verso il proprio fine seguendo uno specifico istinto; il poeta non deve dunque meravigliarsi dell'evento miracoloso di cui è partecipe perché, oramai libero dal peccato, sta salendo assecondando il proprio istinto naturale
CANTO II
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti
Dante e la guida si muovono velocissimi e, mentre Beatrice fissa il sole, Dante a sua volta la contempla, sorprendendosi poi per il proprio arrivo nel primo cielo. La sua impressione è quella di essere avvolto in una nube, e il cielo della Luna è paragonato all'acqua che riceve un raggio di luce senza disunirsi. Il poeta non si spiega come due corpi possano compenetrarsi senza subire modificazioni e osserva che questo fenomeno dovrebbe suscitare, per analogia, il desiderio di comprendere come in Cristo poterono unirsi la natura umana e quella divina. Beatrice spiega poi che è erronea la credenza secondo la quale le macchie lunari derivano dalla diversa densità della superficie dell'astro. Le macchie dipendono invece dalla varietà della luce delle stelle, così come si differenzia la varietà della luce in una medesima stella. In tal modo Beatrice espone a Dante anche la teoria dell'influenza dei cieli e delle intelligenze motrici che si manifestano nell'universo nel modo in cui l'anima comunica al corpo umano la propria virtù attraverso molteplici membra, conformate all'uso di facoltà diverse
CANTO III
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti
Dopo queste spiegazioni Dante è attratto da una visione: vede molti volti indistinti pronti a parlare e credendo trattarsi di immagini riflesse situate alle sue spalle, si volge indietro. Non vede nessuno e allora si volge di nuovo verso Beatrice che gli spiega che egli ha visto non immagini riflesse bensì vere anime. Dante si rivolge all'ombra più desiderosa di parlare e le chiede di rivelare il suo nome e la condizione delle anime che si trovano con lei. Dopo aver affermato che la carità che anima i beati permette loro di appagare il loro desiderio di beatitudine, l'anima dichiara di essere Piccarda Donati. Dante le chiede se le anime che si trovano nel cielo della Luna desiderino raggiungere una sfera più alta per contemplare Dio più da vicino, e l'anima risponde che tutti i beati sono assolutamente felici perché si uniformano alla volontà di Dio e in essa trovano pace. A questo punto Piccarda spiega come, dopo aver vestito l'abito monacale, fu rapita dal chiostro e visse nel mondo secolare; ciò è avvenuto anche a un'altra anima, che Piccarda rivela essere stata l'imperatrice Costanza d'Altavilla. Finito il colloquio Piccarda si dilegua e Dante si rivolge a Beatrice
CANTO IV
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti
Il poeta è turbato da due dubbi. Se la buona volontà di osservare i voti persiste, Dante si chiede per quale motivo la violenza di chi ha impedito la soddisfazione del voto debba diminuire il merito. Il poeta inoltre si domanda se possa essere vera l'opinione di Platone, secondo cui le anime dopo la morte sembrano ritornare alle stelle. Beatrice spiega allora che tutti i beati hanno la loro sede nell'Empireo ma fruiscono diversamente della dolcezza della beatitudine secondo i propri meriti. Gli spiriti inadempienti ai voti sono scesi nel cielo della Luna per dare al poeta un segno sensibile del loro minor grado di beatitudine. Se dunque è falso che ogni anima ritorni alla propria stella, Platone ha tuttavia colto in parte il vero attribuendo alle stelle influssi sulle anime. Beatrice poi afferma che gli spiriti inadempienti non possono essere totalmente giustificati a causa della violenza subita: se la loro volontà fosse stata assoluta essi sarebbero ritornati comunque al chiostro. Dante è ancora ostacolato da un altro pensiero: sa che i beati non possono mentire però ha sentito da Piccarda che Costanza mantenne ferma la sua volontà di osservare i voti, mentre Beatrice ha affermato che questi spiriti in parte accondiscesero alla violenza. Questa apparente contraddizione è risolta da Beatrice con la distinzione fra volontà assoluta, che non acconsente mai al male, e volontà relativa, che cede, quando teme un male peggiore. A questo punto Dante domanda se l'uomo può soddisfare i voti inadempiuti con altre opere di bene
CANTO V
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti - II cielo: Mercurio: spiriti attivi per gloria terrena
Beatrice risponde alla domanda dicendo che il dono più grande che Dio ha fatto all'uomo è il libero arbitrio; da ciò deriva la santità del voto perché in esso si fa sacrificio del dono supremo della libertà, e di conseguenza niente può risarcire un voto inadempiuto. La Chiesa, tuttavia, può concedere dispensa ai voti, per i quali sono necessarie due condizioni: la materia del voto stesso e il patto che si stringe con Dio. Quest'ultimo non si cancella se non con il completo adempimento. La materia del voto può essere commutata con il permesso della Chiesa e solo con un'offerta maggiore della precedente, anche se esistono materie la cui permutazione è impossibile; gli uomini non devono prendere i voti alla leggera e devono osservarli rettamente. Dopo questa spiegazione Beatrice guarda in alto: la trasfigurazione del suo volto impone il silenzio a Dante. Con la rapidità di tre frecce scoccate da un arco essi raggiungono il cielo di Mercurio. Il poeta vede più di mille anime ed è colto dal desiderio di conoscerne la sorte
CANTO VI
Luogo: II cielo: Mercurio: spiriti attivi per gloria terrena
Lo spirito di Giustiniano dichiara la propria identità dicendo che, dopo il trasferimento dell'aquila imperiale da Roma a Bisanzio, essa finì nelle sue mani. La storia mostra infatti come l'aquila imperiale, dopo essere stata inizialmente in Alba Longa, passò ai re e successivamente alla repubblica romana; quindi fu presa da Cesare e di quello che fece durante l'impero di Ottaviano sono testimoni Bruto e Cassio, le città di Modena e Perugia e Cleopatra. Ma tutte le imprese dell'aquila sino a quel momento sono poca cosa, se confrontate con il suo operato sotto l'imperatore Tiberio, quando Dio poté fare giustizia del peccato originale; mentre con Tito vendicò la crocefissione di Cristo distruggendo Gerusalemme. Quando infine i Longobardi, con Desiderio, aggredirono la Chiesa, Carlo Magno la soccorse e risultò vincitore. Ora Dante può giudicare l'operato politico dei guelfi e dei ghibellini: gli uni oppongono all'aquila i gigli di Francia, gli altri si appropriano del 'santo segno' facendone l'emblema del proprio partito. A questo punto Giustiniano risponde alla seconda domanda di Dante dicendo che il cielo di Mercurio è sede di coloro che in terra operarono il bene per conseguire la gloria. Tra questi beati si trova Romeo di Villanova: egli, umile straniero, fece sposare nobilmente le quattro figlie del suo signore Raimondo Beringhieri, da cui subì una ingiusta umiliazione; dopo tale affronto Romeo si allontanò dalla corte, mendicando per il resto della propria vita
CANTO VII
Luogo: II cielo: Mercurio: spiriti attivi pre gloria terrena
Giustiniano si allontana e Dante è agitato da un altro dubbio. Beatrice lo comprende e lo risolve: perché la morte di Cristo, giusta vendetta della colpa di Adamo, fu vendicata giustamente con la distruzione di Gerusalemme? La natura umana, creata perfetta, fu bandita dal Paradiso Terrestre perché peccatrice: se la pena della croce si commisura, dunque, alla colpevole natura umana - che Cristo assunse incarnandosi - essa fu giusta; se, invece, si considera la persona di Cristo che la subì, essa risulta la più ingiusta. La morte di Gesù piacque a Dio e, per motivi differenti, agli Ebrei: attraverso il sublime sacrificio il cielo si aprì nuovamente all'umanità redenta. Beatrice spiega poi perché Dio abbia voluto redimere l'umanità proprio in questo modo. Dante non ha però inteso un concetto espresso da Beatrice che, accorgendosene, torna a spiegare perché gli elementi naturali siano corruttibili, se è vero che tutto ciò che è creato immediatamente da Dio è eterno. Ciò accade perché solo gli angeli e i cieli si possono dire immediatamente creati da Dio nella completezza del loro essere, mentre gli elementi e i loro composti ricevono forma dall'influsso dei cieli. Queste cause seconde danno vita all'anima sensitiva negli animali e a quella vegetativa nelle piante, mentre l'anima intellettiva deriva direttamente dalla somma bontà. Da questo si può dedurre anche la resurrezione dei corpi in quanto creati senza intermediazione da Dio, in Adamo ed Eva
CANTO VIII
Luogo: III cielo: Venere: spiriti amanti
Dante si accorge di essere salito al terzo cielo per il fatto che Beatrice risplende maggiormente, e vede nuovi bagliori muoversi in giro a diversa velocità. Uno spirito si avvicina e comincia a parlare spiegando che lì le anime si muovono con il coro dei Principati, ai quali il poeta aveva indirizzato la canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete; dopo l'annuire di Beatrice, il poeta chiede allo spirito chi sia. Dalla sua risposta Dante riconosce l'anima di Carlo Martello e gli chiede di risolvere un dubbio: come possa, da un buon seme, nascere un frutto cattivo. Lo spirito spiega che il sommo bene fa in modo che la provvidenza possa influire sulla terra attraverso le influenze celesti, imprimendo ai mortali diverse disposizioni che si concretano nella società nelle molteplici disposizioni umane. L'influsso dei cieli, tuttavia, non distingue una famiglia dall'altra e dunque può accadere che due fratelli siano fra loro completamente diversi: se la provvidenza non agisse in tal modo la natura dei figli sarebbe sempre uguale a quella dei padri. Sciolto questo dubbio, Carlo Martello aggiunge un ultimo 'corollario': se la natura non è assecondata dalla fortuna fa sempre una cattiva prova e può avvenire che molti uomini costretti a non assecondare le proprie naturali inclinazioni fuoriescano dalla retta via
CANTO IX
Luogo: III cielo: Venere: spiriti amanti
Dopo la profezia Carlo Martello si rivolge a Dio e il poeta inveisce contro i mortali che si indirizzano solo alle cose terrene. Si avvicina un altro spirito che desidera parlare al poeta: l'anima appartiene a Cunizza da Romano, che profetizza la sorte delle città di Padova e di Feltre e quella di Rizzardo da Camino. Accanto a sé, Cunizza addita lo spirito di Folchetto da Marsiglia. Quindi Dante desidera conoscere quale anima si trovi dentro alla luce che vede a fianco di quest'ultimo: si tratta di Raab, l'anima più luminosa del cielo, assuntavi per prima in quanto favorì la vittoria di Giosué in Terra Santa. A questo punto Folchetto inveisce contro Firenze, fondata da Lucifero e produttrice di quel denaro maledetto che allontana gli uomini da Dio e trasforma i pastori in lupi, permettendo che si trascurino le Sacre Scritture. Il papa e i cardinali tendono solo a conseguire potere e ricchezze e trascurano di difendere la cristianità: tuttavia, ben presto, il Vaticano e i sepolcri dei martiri saranno liberati dall'immoralità del clero
CANTO X
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
Il poeta invita il lettore a guardare nel punto in cui l'equatore incontra lo zodiaco: egli fa osservare che da questo punto si distacca - obliqua sull'orizzonte - la fascia su cui si muovono il sole e gli altri pianeti. Se il percorso di questi ultimi non fosse obliquo molte delle loro influenze rimarrebbero senza esito e sarebbero assopite le qualità potenziali della materia. Se poi il divergere dei pianeti fosse maggiore o minore, molte cose sarebbero manchevoli in terra e in cielo. Dante sale con Beatrice nel cielo del Sole. Il poeta ringrazia Dio con tale fervore da dimenticare persino Beatrice, peraltro compiaciuta di ciò. Vede una moltitudine di anime disposte a corona che cantano dolcemente. Al poeta si rivela lo spirito di Tommaso d'Aquino, che alla propria destra indica le anime di Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi l'Areopagita, Paolo Orosio, Severino Boezio, Isidoro, Beda, Riccardo di San Vittore e, infine, Sigieri di Brabante
CANTO XI
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
Dopo un'apostrofe ai mortali che rivolgono l'animo alle cose terrene, Dante ne elenca le vane preoccupazioni mentre egli - libero da tali affanni - è accolto dai beati. Ogni spirito sapiente torna al proprio posto e Tommaso, più luminoso, spiega a Dante che contemplando Dio, specchio di tutte le cose, egli può vedere che il poeta non ha compreso il significato di alcune frasi. Tommaso spiega quindi che la Provvidenza ha generato due religiosi come guida della Chiesa: San Francesco e San Domenico; poiché parlando di uno dei due si loda ugualmente anche l'altro, Tommaso parlerà di Francesco. Giovane ancora, Francesco si mise in contrasto con il padre per amore di una donna, la Povertà. La concordia di questi due amanti suscitò santi pensieri in altri uomini (Bernardo, Egidio, Silvestro): così Francesco fondò la propria regola che fu approvata solennemente da Onorio III. Dopo una vita dedicata alla diffusione del messaggio di Cristo Francesco ricevette, sul Monte della Verna, le Stimmate. Terminato il proprio panegirico Tommaso parla di San Domenico, fondatore di una regola che se fosse osservata condurrebbe alla vita eterna. Così Dante vede chiarito il suo primo dubbio
CANTO XII
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
La corona di anime cui appartiene Tommaso riprende la propria danza, ma non ha ancora compiuto un giro che un'altra corona si accorda ad essa. Uno spirito della seconda corona inizia a parlare: tratterà della carità di San Domenico, fondatore dell'ordine a cui è appartenuto San Tommaso. Domenico si mosse con la forza di un torrente in piena contro gli sterpi delle erronee dottrine e percosse violentemente là dove maggiore era la resistenza; se lui fu tale - continua lo spirito - Dante può immaginare la grandezza di Francesco, di cui già sono state fatte le lodi. Ma la traccia di San Francesco non è più seguita e i Francescani tralignano dalla retta via. Se restano ancora alcuni frati fedeli alla regola primitiva essi non appartengono né a Casale, né ad Acquasparta, da dove provengono coloro che hanno travisato lo spirito della regola stessa. A questo punto l'anima si palesa a Dante come San Bonaventura e indica altri beati della sua corona, fra cui Illuminato da Rieti, Agostino di Assisi, Ugo da San Vittore, Pietro Comestore, Pietro Ispano, Natan profeta, San Giovanni Crisostomo, Sant'Anselmo, Donato, Rabano Mauro e Gioacchino da Fiore
CANTO XIII
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
Terminato il canto e la danza i beati si rivolgono a Dante e a Beatrice, e Tommaso scioglie il secondo dubbio di Dante spiegando perché, se è vero che Dio ha infuso in Adamo e in Cristo tanta sapienza quanta può essere concessa alla natura umana, Salomone non ebbe chi lo uguagliasse in sapienza. Dalle gerarchie angeliche la luce di Dio scende sino agli elementi del mondo sublunare producendo - nell'ultimo passaggio - solo cose corruttibili: la materia di tali cose generate può trovarsi in varie condizioni e riflettere la luce divina in misura maggiore o minore. Per questo gli uomini nascono con diversi ingegni, mentre Dio, operando direttamente, può infondere nella cosa creata tutta la perfezione: in tal modo furono creati Adamo e la Vergine. Quindi Dante è nel giusto quando pensa che la natura umana raggiunse la propria perfezione solo in Adamo e in Cristo; ma quando Salomone era re, chiese a Dio la sapienza necessaria a governare il proprio regno. Quindi il suo 'vedere' si deve intendere come la sapienza e il 'surse' si deve riferire solo alla persona dei re. Tommaso termina affermando che l'uomo non deve affrettarsi nel giudicare il prossimo poiché il disegno di Dio è imperscrutabile
CANTO XIV
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapieti - V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Beatrice prende la parola e si rivolge ai beati dicendo che Dante desidererebbe una spiegazione intorno a un dubbio ulteriore: se cioè la luce di cui gli spiriti si ammantano rimarrà tale dopo la resurrezione e se - in caso affermativo - gli occhi potranno sopportare tanta luminosità. Salomone risponde al poeta dicendo che la luce durerà in eterno con una intensità proporzionale al merito di ciascuna anima: dopo la resurrezione i beati - riunita l'anima al corpo - si troveranno in uno stato di maggiore perfezione e in tal modo si accresceranno la grazia, la visione, l'ardore e il corrispondente splendore. Salomone risponde anche alla seconda parte della domanda dicendo che i corpi stessi dei beati appariranno allora più luminosi della luce che li avvolge; ma tanta luce non offenderà la vista, dato che anche gli organi sensibili saranno più perfetti. Improvvisamente Dante vede formarsi una terza corona e, rivolto a Beatrice, domanda dove si trovino: comprende di essere giunto nel cielo di Marte perché lo vede così fiammeggiante che gli sembra più rosso del solito. In questo cielo appaiono splendori disposti in due liste luminosissime, così da formare una croce. Nel mezzo di tal croce il pellegrino vede apparire e sparire, in un lampo, la figura divina di Cristo: sebbene il poeta non possa comprendere pienamente le parole del canto che ora lo rapisce, si rende conto di udire un inno di amore e lode
CANTO XV
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Dal braccio destro della croce si muove uno degli spiriti luminosi, scorrendo lungo la lista, ad angolo retto, come un fuoco dietro un alabastro trasparente. Lo spirito si rivela quello di Cacciaguida, trisavolo di Dante, e si rivolge a lui con lo stesso affetto con cui Anchise si rivolse a Enea nei Campi Elisi. Il poeta lo guarda, quindi si rivolge alla propria guida e rimane stupito perché gli occhi di lei sono così belli da fargli credere di aver raggiunto il grado più alto della sua beatitudine. Cacciaguida - sfogato l'ardore del proprio amore - abbassa il tono del suo linguaggio e ringrazia Dio per l'eccezionale privilegio concesso a un suo discendente. Egli è stato infatti progenitore di Dante, e colui che diede il nome alla casata degli Alighieri fu suo figlio. Cacciaguida parla della Firenze antica, quando entro la cerchia delle mura la cittadinanza viveva in pace e in sobrietà; narra poi di essere stato battezzato in San Giovanni e di aver avuto come fratelli Moronto ed Eliseo e come moglie una donna della valle del Po. Fu ucciso mentre partecipava alla crociata contro i Musulmani sotto l'imperatore Corrado III di Svevia, e meritò la beatitudine eterna
CANTO XVI
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Dante rivolge al proprio avo quattro domande: chi furono i suoi antenati, in quale anno nacque, quanto era numerosa ai suoi tempi la popolazione fiorentina, quali erano le famiglie più eminenti. Cacciaguida afferma di essere nato nel 1091, quindi risponde alla prima domanda dicendo che egli e i suoi predecessori nacquero a Firenze là dove comincia il sestiere di Porta San Pietro. Nella terza risposta spiega poi che la popolazione dei suoi tempi corrispondeva alla quinta parte dell'attuale; la cittadinanza era pura anche nelle classi più umili e meglio sarebbe stato se la gente del contado non fosse penetrata in Firenze, recandovi il puzzo delle frodi e delle baratterie. Rispondendo all'ultimo quesito lo spirito sottolinea prima che non ci si deve stupire se decadono le famiglie più importanti, poiché tutte le cose umane sono soggette alla decadenza; passa quindi in rassegna le famiglie del suo tempo, alcune illustri per antica origine ma sulla strada del decadimento, altre ancora fiorenti. Esse abitavano presso la Porta di San Pietro dove ora abitano i Cerchi, che saranno la rovina di Firenze. Ultimi a essere annoverati sono gli esponenti dei Buondelmenti e degli Amidei, che furono causa di tante sciagure della città. Cacciaguida termina il suo improperium dicendo che, mentre egli era in vita, il giglio di Firenze non era ancora stato oltraggiato e mutato da bianco in rosso a causa della divisione delle fazioni
CANTO XVII
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Dante chiede all'avo di rivelargli le future vicende della sua vita, e Cacciaguida risponde dicendo che la conoscenza dell'avvenire gli deriva da Dio: il poeta dovrà partire da Firenze e la colpa dell'esilio sarà attribuita inevitabilmente all'offeso, anche se la vendetta divina offrirà testimonianza della verità. Dante sarà quindi ospitato da Bartolomeo della Scala, e a Verona incontrerà Cangrande; il mondo non si è ancora accorto di quest'ultimo, che è ancora fanciullo, ma prima che papa Clemente V inganni l'imperatore Arrigo di Lussemburgo si paleseranno i segni della sua grandezza. Il discorso si conclude con l'ammonimento a non odiare i concittadini, perché la gloria di Dante durerà oltre il tempo nel quale essi saranno puniti delle loro malvagità. Il poeta si rivolge allora al proprio avo per esporgli un dubbio: se divulgherà le cose apprese durante il viaggio teme di incorrere nell'odio di molti ma, se le tacerà, teme di non conseguire fama presso i posteri. Lo spirito gli risponde che solo le coscienze offuscate dal peccato sentiranno l'asprezza delle sue parole: che egli narri tutto ciò che ha veduto perché la sua voce costituirà 'vitale nutrimento' per l'umanità
CANTO XVIII
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede - VI cielo: Giove: spiriti giusti
A questo punto lo spirito rivela a Dante che nel cielo di Marte, dove essi si trovano, vi sono anime appartenute a uomini molto famosi e invita il pellegrino a osservare i bracci della croce, dai quali scenderanno altri beati. Giosué, Giuda Maccabeo, Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d'Orange e Renoardo, Goffredo di Buglione, Roberto Guiscardo scorrono rapidamente e si mostrano al poeta: quindi anche Cacciaguida riprende il proprio posto. Dante si accorge di essere salito al cielo successivo, quello di Giove; e qui, gli spiriti, sfavillanti d'amore, tracciano alcune lettere dell'alfabeto. Alla fine si sono formate trentacinque lettere che costituiscono la frase 'Diligite iustitiam qui iudicatis terram'. I beati restano fermi sulla M di terram , quindi altri spiriti si posano sulla sommità della lettera e levandosi ancora più e meno in alto, secondo il grado della rispettiva beatitudine, formano la testa e il collo di un'aquila, mentre le anime di coloro che avevano costituito la M, con un ultimo movimento, determinano l'intera figura dell'uccello divino. A tal segno Dante comprende che la giustizia dipende - nel mondo - dagli influssi celesti di Giove e prega Dio di rivolgersi al luogo d'origine di tante corrotte passioni, disperdendo il dilagante traviamento della Chiesa
CANTO XIX
Luogo: VI cielo: Giove: spiriti giusti
L'aquila apre le ali e comincia a parlare in prima persona, esprimendo il pensiero dei beati che la compongono. Dante prega quindi gli spiriti di sciogliere un suo vecchio dubbio, ossia se coloro che non furono in grado di conoscere la fede cristiana devono necessariamente essere esclusi dalla grazia di Dio. L'aquila risponde dicendo che l'intelligenza degli uomini non può arrivare a comprendere l'imperscrutabile giustizia divina e deve attenersi alla Sacra Scrittura: la volontà di Dio deve essere creduta buona in se stessa e tutto ciò che è voluto dall'Essere supremo necessariamente giusto. Gli spiriti spiegano quindi a Dante che in Paradiso non è mai salito chi non credette in Cristo: quando le schiere dei buoni e dei malvagi si separeranno alcuni - apparentemente cristiani - potranno essere condannati dagli stessi infedeli, che potranno vituperare l'operato dei re cristiani vedendo le loro nefandezze scritte nel libro di Dio. Concludendo le proprie parole l'aquila augura al regno di Ungheria di non lasciarsi più maltrattare dai suoi re e al regno di Navarra di difendersi dalla potenza francese
CANTO XX
Luogo: VI cielo: Giove: spiriti giusti
Nell'occhio dell'aquila si trovano gli spiriti più eccellenti che formano la sua figura: per primo, al posto della pupilla, viene indicato Davide; quindi vengono nominati, a partire dal luogo più prossimo al becco, Traiano, Ezechia, Costantino, Guglielmo II il Buono re di Sicilia e Rifeo. Dante non comprende come le anime di due pagani, Traiano e Rifeo, si trovino in Paradiso, e l'aquila risponde spiegando che il regno di Dio cede all'amore e alla speranza degli uomini non perché la volontà divina possa essere vinta con la forza, ma solo perché essa vuole essere vinta, per sua somma bontà. Sia Traiano che Rifeo uscirono dal corpo credendo, il primo, in Cristo venuto, l'altro in Cristo venturo: Rifeo fu battezzato nella vera fede mediante le tre Virtù teologali ben mille anni prima che il sacramento del Battesimo venisse istituito. La predestinazione resterà un mistero per gli uomini, che devono essere cauti nel giudicare il destino ultraterreno delle anime perché nessuno può leggere la volontà di Dio
CANTO XXI
Luogo: VII cielo: Saturno: spiriti contemplativi
Beatrice spiega al poeta che essi sono ormai giunti nel cielo di Saturno dove si trovano gli spiriti contemplanti, e lo esorta a guardare una scala d'oro che si eleva così in alto da non poter essere vista completamente. Tantissimi splendori scendono e salgono lungo la scala e uno di essi comincia a parlare. Si tratta di San Pier Damiano che risponde a una domanda postagli dal poeta, affermando che in questo cielo nessuno canta per la stessa ragione per cui Beatrice, all'inizio, non ha sorriso: Dante non sopporterebbe l'ineffabilità del canto e resterebbe annichilito. Inoltre lo spirito aggiunge di essersi presentato al poeta non perché in lui sia maggiore l'ardore della carità, ma perché Dio, inspiegabilmente, ha assegnato a lui tale ufficio. Continuando a parlare del tema della predestinazione Pier Damiano afferma che nessun beato, neppure uno dei Serafini, potrebbe rispondere alla domanda del poeta intorno a questo problema, celato nell'abisso dell'intelligenza divina. Il beato dichiara a Dante la propria identità e afferma di essere vissuto nell'eremo situato sotto il monte Catria: in quel chiostro egli ebbe il nome di Pier Damiano, mentre, per l'umiltà, ebbe nome di Pietro Peccatore nel monastero di Santa Maria vicino a Ravenna. Le sue ultime parole riguardano l'infinita pazienza del Creatore che sopporta la corruzione del clero: altri spiriti, roteando lungo la scala, lo circondano ed elevano simultaneamente un grido altissimo
CANTO XXII
Luogo: VII cielo: Saturno: spiriti contemplativi - VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Beatrice spiega a Dante che se egli avesse potuto comprendere le parole appena gridate dai beati già conoscerebbe la vendetta divina, che si offrirà tuttavia al suo sguardo prima della sua morte. Il pellegrino scorge piccoli globi luminosi e si rivolge a uno di essi, che dichiara di essere lo spirito di San Benedetto. Insieme a lui si trovano altri spiriti di contemplanti accesi - in vita - da ardore di carità: fra essi si trovano San Macario e San Romualdo e quei frati dell'ordine che si mantennero fedeli alla regola. Il poeta prega San Benedetto di farsi palese nella sua vera sembianza, ma questi risponde che tale desiderio sarà esaudito solo nell'Empireo. Il Santo spiega inoltre che la scala d'oro vista da Dante, la stessa che apparve in sogno a Giacobbe, non attira oramai più nessuno: la regola benedettina è rimasta solo per sprecare la carta di cui ci si serve per trascriverla. Dopo queste parole tutti gli spiriti si levano verso l'alto; Beatrice spinge il poeta su per la scala e il loro volo è così rapido che nessun moto terreno può essergli paragonato. Dante si rivolge per l'ultima volta al lettore, augurandosi di poter tornare in Paradiso a vedere il trionfo dei beati, così come è vero che in un attimo egli si trovò congiunto alla costellazione dei Gemelli. La guida esorta il viator a volgere lo sguardo verso il basso per esaminare il cammino percorso: e Dante vede i sette cieli già attraversati e la Terra, la piccola 'aiuola che ci fa tanto feroci'
CANTO XXIII
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Beatrice è rivolta verso il meridiano dove il sole si trova a mezzogiorno, dove il cielo si fa sempre più chiaro per l'apparire delle schiere luminosissime che accompagnano il trionfo di Cristo. Il poeta può vedere un Sole che illumina migliaia di splendori e attraverso cui traspare la figura di Cristo. Primo rapimento estatico di Dante: la sua mente, immensamente dilatata in mezzo alle meraviglie del cielo, non potrà ricordare quello che avvenne in quel momento. La guida esorta il pellegrino a riaprire gli occhi: Dante, distogliendo lo sguardo da lei, dovrà rivolgerlo al coro dei beati dove si trovano Maria e gli Apostoli. Come in terra egli già ha visto, protetto un poco dalle nubi, un prato fiorito illuminato dal sole, così può vedere le schiere dei beati irradiate dallo splendore di Cristo che tuttavia non può essere contemplato dai suoi occhi perché Egli si è innalzato nuovamente verso l'Empireo. Ora il poeta osa volgere lo sguardo verso la Vergine e - sotto forma di corona splendente - vede scendere l'Arcangelo Gabriele. Accompagnata da questo Angelo anche Maria risale all'Empireo, ma il poeta non può seguirne l'ascensione perché il Primo Mobile è ancora troppo lontano. I beati intonano l'antifona Regina coeli
CANTO XXIV
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Beatrice prega i beati di far cadere nella mente di Dante qualche goccia di quell'acqua che eternamente li disseta. Fiammeggiante di luce, dalla corona più luminosa, esce lo spirito di San Pietro, che esamina Dante sui punti della Fede, poiché è bene che il pellegrino parli di questa virtù teologale proprio per glorificarla. Alla fine, approvate le sue risposte, San Pietro domanda che cosa Dante creda e per quale causa lo creda; il pellegrino risponde di credere in un solo Dio eterno che muove, immobile, tutto l'universo e che di ciò possiede non solo prove fisiche e metafisiche, ma soprattutto quelle offerte dai due Testamenti. Dante crede inoltre nelle Tre Persone della Trinità e di questo lo certificano più luoghi del Vangelo: la Fede è il principio da cui derivano tutti gli articoli della stessa Fede. San Pietro benedice il poeta
CANTO XXV
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Dalla medesima corona da cui era uscito San Pietro esce ora lo spirito di Sant'Jacopo, e Beatrice lo prega affinché esamini Dante intorno alla seconda virtù teologale. Il santo domanda dunque al pellegrino che cosa sia la Speranza, in quale misura la possegga e da chi gli sia venuta. La guida stessa risponde alla seconda domanda dicendo che mai la Chiesa militante ha posseduto fedele nutrito di maggiore speranza del poeta stesso, così che Dio gli ha concesso la grazia di salire al Paradiso prima della morte. Dante risponde poi alla prima domanda affermando che la Speranza è l'attesa sicura della gloria futura prodotta dalla grazia di Dio e dalle buone opere; alla terza domanda risponde che la speranza deriva in lui da molti scrittori ispirati, ma soprattutto da Davide compositore dei Salmi e da Sant'Jacopo stesso. Che cosa promette, dunque, al poeta, la Speranza? Dante risponde che la Speranza, attraverso le parole di Isaia e di San Giovanni, promette all'uomo la beatitudine del corpo e dello spirito. I beati approvano la risposta del poeta intonando il canto Sperent in te. Un altro splendore si avvicina ai due Apostoli: si tratta di San Giovanni. Dante rimane abbagliato dalla sua luce
CANTO XXVI
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Mentre Dante crede di aver perduto la vista il Santo gli chiede quali ragioni lo abbiano spinto ad amare Dio: il poeta risponde che tale amore è nato in lui per gli argomenti filosofici e per l'autorità della Sacra Scrittura. Ma quali altre ragioni spingono Dante ad amare Dio? Dante risponde che le ragioni che lo hanno indotto a corroborare il suo sentimento di carità sono soprattutto la creazione di lui medesimo, la morte redentrice di Cristo e la speranza della salvezza. I beati e Beatrice intonano un canto o di lode e la guida può togliere ogni impedimento agli occhi di Dante, che ora vede meglio di prima e può scorgere un quarto splendore. Si tratta dell'anima di Adamo, e Dante la prega di appagare il suo desiderio di conoscenza. Adamo dice quindi: di essere stato allontanato dal Paradiso terrestre per aver trasgredito il comandamento di Dio; di essere rimasto nel Limbo 4302 anni e 930 anni sulla terra; che la lingua da lui parlata 'fu tutta spenta' prima che Nembrot tentasse l'impresa della torre di Babele (la lingua, come tutti i prodotti umani, è mutevole e prima che egli scendesse nel Limbo Dio era chiamato I, ma poi fu chiamato EL); e infine, che la sua dimora nel Paradiso terrestre, prima da innocente, poi da colpevole, si protrasse per sette ore
CANTO XXVII
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti - IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici
I beati intonano l'inno Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo e Dante ne rimane estasiato. San Pietro cambia colore per lo sdegno che lo agita e prorompe in una feroce invettiva condannando il Pontefice che usurpa sulla terra il posto di Vicario di Cristo. I papi sono corrotti, ma non sono gli unici: dal Cielo si vedono ovunque, sulla terra, lupi rapaci travestiti da pastori. La Provvidenza divina verrà però presto in soccorso della Chiesa. Dopo quest'ultima dichiarazione tutti i beati si levano verso l'Empireo e Beatrice invita Dante a volgere gli occhi in basso. Il poeta si rende conto che dal momento in cui ha guardato la terra per la prima volta sono trascorse sei ore: da una parte vede l'Oceano Atlantico, dall'altra la Fenicia e vedrebbe una parte maggiore della terra se il sole non si muovesse sotto di lui a più di trenta gradi verso occidente. La virtù che lo sguardo luminoso di Beatrice concede a Dante lo solleva in un attimo fino al Primo Mobile; solo il cielo Empireo lo circonda, così come il Primo Mobile circonda gli altri cieli. Beatrice, a questo punto, deplora la cupidigia che impedisce all'uomo di alzare gli occhi al Cielo: l'innocenza si trova solo nei fanciulli, ma anch'essi si corrompono appena giungono all'età matura e questo non deve sorprendere perché in terra non vi è più chi provveda rettamente ai poteri temporale e spirituale, ma presto l'umanità cambierà il proprio corso e al buon volere seguiranno le buone opere
CANTO XXVIII
Luogo: IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici
Dante scorge negli occhi di Beatrice un punto luminoso e - rivolgendosi verso il cielo - vede lo stesso punto infuso di una luce così abbagliante che lo costringe a distogliere lo sguardo. Vicinissimo al punto, gira rapidissimo un cerchio infuocato. Questo cerchio è circondato da tutti gli altri, i quali appaiono sempre più ampi e meno veloci mano a mano che si allontanano dal centro. La guida spiega al poeta che quel punto è Dio e che il cerchio che gli si muove più vicino è anche il più veloce poiché è mosso da un amore più ardente. Il Primo Mobile che trascina nel suo moto tutto l'universo corrisponde al cerchio che ha più amore e sapienza: e se il poeta considererà la virtù - e non la grandezza delle sfere celesti e dei cerchi angelici - noterà la corrispondenza che esiste fra il cielo maggiore e la maggiore Intelligenza motrice e tra il cielo minore e la minore Intelligenza motrice; Dante è preso, però, da altri dubbi e la sua guida spiega l'ordine dei cori che sono distribuiti in tre gerarchie: i nove cori angelici sono rivolti verso il punto che è Dio ed esercitano, dai superiori verso gli inferiori, un'azione benefica
CANTO XXIX
Luogo: IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici
Beatrice comincia a spiegare a Dante la creazione degli Angeli, creati da Dio nella sua eternità, ossia fuori del tempo, e nell'Empireo, ossia fuori dello spazio. Con un solo atto Dio creò la pura forma degli Angeli, la materia pura e la forma congiunta alla materia dei corpi celesti. Beatrice ricorda al poeta il pensiero di San Girolamo secondo il quale la creazione degli Angeli sarebbe avvenuta molti secoli prima della creazione del mondo: questo pensiero è erroneo e contrasta non solo con la Sacra Scrittura ma anche con la ragione umana, che non potrebbe ammettere che gli Angeli siano rimasti tanto tempo senza esercitare il loro ufficio. Beatrice continua poi dicendo che una parte degli Angeli, ribelle al Creatore, precipitò sulla terra, mentre l'altra rimase nell'Empireo. Segue un'invettiva contro i cattivi filosofi che alterano la Sacra Scrittura senza pensare quanto siano cari a Dio coloro che invece le si accostano umilmente. Beatrice dichiara poi che il numero degli Angeli è infinito: la luce di Dio è accolta in diversi modi, tanti quanti sono gli Angeli a cui si unisce, così che l'amore di ogni creatura celeste - proporzionato alla visione - è più o meno intenso
CANTO XXX
Luogo: IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici - Empireo: Candida Rosa
A poco a poco i nove cori angelici che si volgono intorno al punto divino scompaiono e Dante si volge a Beatrice. La guida annuncia che sono giunti nell'Empireo, cielo di pura luce intellettuale fonte di un amore che è esso stesso fonte di una beatitudine assoluta; qui il poeta vedrà gli Angeli e i Beati nel medesimo aspetto che essi assumeranno nel giorno del Giudizio. Una luce risplende intorno a Dante, che dopo un momento di cecità si accorge che la sua facoltà visiva si è accresciuta e può così vedere una fiumana di luce che scorre tra due rive dipinte di fiori, dalla quale si alzano faville che si posano sui fiori per poi ritornare nel gorgo di luce. Il fiume, le faville, i fiori sono solo immagini che adombrano la realtà, perché Dante non ha una vista così potente da poterla sostenere. Dante fissa gli occhi nella fiumana luminosa e questa, prima distesa nella sua lunghezza, gli appare in forma circolare, mentre i fiori e le faville si tramutano in Beati e Angeli, offrendo l'immagine di una rosa che si dilata man mano che si procede dal basso verso l'alto. Dante non si smarrisce più nell'intensità della luce e comprende che nella Rosa è raccolta tutta l'immensità della beatitudine celeste. Beatrice conduce il poeta al centro della Rosa e gli mostra i pochi seggi non ancora occupati, compreso quello dove siederà, prima della morte di Dante, l'Imperatore Arrigo VII
CANTO XXXI
Luogo: Empireo: Candida Rosa
Dopo che i beati si sono mostrati a Dante in forma di candida rosa il poeta scorge gli Angeli che, cantando la gloria di Dio, appaiono come uno sciame di api in volo: essi hanno il viso color di fiamma, le ali dorate e il resto della figura più bianco della neve. Tutto il regno felice si volge al Creatore e Dante pronuncia una invocazione alla Trinità perché possa volgersi alla terra. Come il pellegrino giunto nel tempio prescelto si fissa a contemplare le sue bellezze e spera di descrivere, al ritorno, quello che ha visto, così Dante ammira la Rosa luminosa e vede visi atteggiati a carità, ricolmi di luce. Il poeta si volge a Beatrice per interrogarla ma al suo posto vede un vecchio vestito di bianco: costui risponde che Beatrice è risalita al proprio scranno. La nuova guida invita Dante a guardare la candida rosa e dopo aver assicurato al poeta che la Vergine farà loro ogni grazia si rivela come San Bernardo. Il santo invita il pellegrino a rivolgere gli occhi a Maria ed egli può scorgere verso la sommità della Rosa una parte più splendente: lì - nel mezzo - circondata da migliaia di Angeli essi contemplano la Madre di Cristo
CANTO XXXII
Luogo: Empireo: Candida Rosa
A questo punto Bernardo indica a Dante - ai piedi della Vergine - Eva e, sotto questa, nel terzo ordine dei seggi, Rachele e Beatrice. Sotto di loro, di gradino in gradino, siedono Sara, Rebecca, Giuditta e Ruth. Infine, dal settimo gradino, verso il basso, altre donne ebree che - separando le foglie della rosa - dividono i beati dell'Antico Testamento da quelli del Nuovo. A sinistra si trovano coloro che credettero in Cristo venturo mentre a destra - dove ancora si vedono alcuni seggi vuoti - siedono coloro che credettero in Cristo venuto. E come da questa parte il seggio della Madonna e delle donne ebree forma una linea di separazione così, dalla parte opposta, la formano i seggi di San Giovanni Battista, di San Francesco, di San Benedetto, di Sant'Agostino e di altri. Dal mezzo della rosa verso il basso si vedono le anime dei bambini che si salvarono non per propri meriti, ma grazie ai loro genitori e con certe condizioni, poiché morirono prima di raggiungere l'uso della ragione. Bernardo invita Dante a guardare la Vergine e il poeta vede innanzi a lei, con le ali spiegate, l'Arcangelo Gabriele che canta Ave Maria, gratia plena. A sinistra di Maria è visibile Adamo, e alla destra San Pietro: accanto a lui San Giovanni Evangelista e accanto ad Adamo, Mosé. In ultimo, davanti a San Pietro si trova Sant'Anna e di fronte ad Adamo, Santa Lucia. Adesso Bernardo pregherà Maria perché interceda in favore del poeta che, dal canto suo, dovrà accompagnare la preghiera con tutto l'ardore del proprio cuore
CANTO XXXIII
Luogo: Empireo: Candida Rosa
Preghiera di San Bernardo. Gli occhi di Maria si fissano sul santo, dimostrando che la sua preghiera è stata accolta, poi si innalzano a Dio per ottenere la grazia. Dante porta l'ardore del proprio desiderio al più alto grado di intensità e, mentre Bernardo lo invita, egli - che già ha rivolto gli occhi al Creatore - penetra attraverso la luce divina. Il poeta dichiara che da questo momento la sua visione non potrà essere descritta e prega Dio di aiutare la sua memoria e la sua parola, in modo da consentire anche agli altri uomini di poter percepire almeno una pallida immagine di quanto poté contemplare. Dante descrive poi il proprio ardimento, che lo spinse a fissare e congiungere la propria vista con Dio, così da poter scorgere, nella profondità della luce divina, legate in un vincolo d'amore, tutte le cose che si trovano 'squadernate' nell'Universo. L'istante della visione fu per il poeta causa di un oblio profondissimo; Dante rilascia un'ultima dichiarazione di ineffabilità quindi dice di aver visto mutare il lume divino, progressivamente, di fronte alla sua vista. In tal modo egli poté contemplare all'interno del lume tre cerchi di tre diversi colori, di uguale grandezza, dei quali il secondo sembrava riflesso dal primo, mentre il terzo appariva come un fuoco spirante in uguale misura dagli altri due. Il secondo dei tre cerchi si mostrò poi al poeta dipinto dell'effigie umana: paragonandosi al geometra che cerca di misurare il cerchio e non ritrova, pensando, quel principio di cui avrebbe bisogno, così Dante descrive il proprio tentativo di comprendere come la natura umana e la divina potessero essere una sola cosa nel Figlio, che a sua volta è una sola cosa in Dio. 'A l'alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio disio e il velle, / sì come rota ch'igualmente è mossa, / l'amor che move il sole e l'altre stelle'
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